sabato 13 aprile 2024

CONFESSIONE ED AUTOASSOLUZIONE DI UN BANCHIERE IMPENITENTE

 

di Michele Lamanna

Nello scorso mese di marzo, una nota casa editrice ha dato alle stampe un libro scritto da Paolo Zannoni, dal titolo “Moneta e promesse – sette storie di banchieri che hanno plasmato il mondo moderno”. Non sappiamo se e quante persone abbiano già avuto modo di leggere questo libro; né, se e quante altre lo faranno. In ogni caso, qualora ce ne fossero o ce ne saranno, vogliamo qui fornir loro una sorta di breve manuale per cercare di decodificare i contenuti di quel libro. Perché?

Innanzitutto, perché l’ esposizione e la terminologia utilizzata dall’autore per descrivere l’ attività bancaria e, di conseguenza, i rapporti tra Stato e banche è, a nostro avviso, capziosa. In secondo luogo, ma non da ultimo, per un dovere morale di riconoscenza nei confronti del mai dimenticato prof. Giacinto Auriti, che criticando tesi analoghe a quelle sostenute nel libro in questione, l’8 marzo del 1993 denunciò la Banca d’ Italia per truffa, falso in bilancio, associazione per delinquere, usura ed istigazione al suicidio.

L’ autore, sulla base di una ricognizione storica che va dal XII secolo alla rivoluzione russa, tenta di dimostrare/giustificare quella che, a suo parere, sarebbe l’ essenza costante dell’attività bancaria.

Al riguardo, e ad evitare equivoci, riportiamo di seguito e testualmente ampi stralci tratti dal libro: “Sembra che le banche guadagnino prestando denaro – un qualcosa di valore – che viene restituito in un momento successivo. In realtà, sia che paghiamo con un assegno, un trasferimento digitale, una carta di debito o una carta di credito, i beni e i servizi che acquistiamo vengono pagati con debiti della banca – o moneta bancaria – e questo denaro, questo valore, non è un mucchietto di moneta sonante depositata nei forzieri di una istituzione, ma è il debito dell’istituzione, le sue obbligazioni, la sua promessa di pagamento. Se questo è vero per i singoli, lo è altrettanto per gli Stati … sono convinto che gli Stati e le istituzioni pubbliche si siano serviti di un particolare tipo di debito – il debito delle banche – non come strumento di oppressione ma per far prosperare i propri cittadini, per creare valore, per assicurare beni collettivi…Stati e banche si sono scambiati debiti traendo vicendevolmente profitto dallo scambio: lo Stato fornisce più beni pubblici, e le banche aumentano utili e potere, il potere di creare moneta. Questa è l’ alchimia della banca…”.

Al nostro autore “sfugge” che lungo il corso del non breve periodo storico oggetto della sua trattazione, c’è una frattura, una linea di demarcazione che rappresenta una svolta epocale nella storia dell’attività bancaria e dei rapporti tra Stato e banca. Questa linea di demarcazione è il 1694, anno in cui venne fondata la Banca d’ Inghilterra, la prima vera banca centrale al cui modello, successivamente, si ispireranno tutte le banche centrali degli altri Stati. Dal quel momento in poi la banche centrale (ma anche il sistema bancario nel suo complesso):

a) diventerà il monopolista della valuta, ovvero, l’ unico soggetto autorizzato per legge ad emettere la moneta (lo Stato continuerà a coniare e ad emettere solo le monete metalliche, il cui volume, tuttavia, sarà sempre insignificante rispetto a quello delle banconote o della moneta scritturale) ;

b) creerà la moneta dal nulla ( ex nihilo), senza obbligo di riserva, con costo di produzione assolutamente risibile ( quello tipografico di pochi centesimi per la fabbricazione delle banconote), se non addirittura inesistente (come avviene oggi per la maggior parte della massa monetaria in circolazione costituita da semplici bit digitati sul computer);

c) emetterà la moneta prestandola al valore nominale ( quello facciale delle banconote, ovvero, il numero scritto sul computer della moneta scritturale).

E’ la differenza tra quel costo di produzione (irrisorio se non nullo) ed il valore nominale della moneta prestata, peraltro maggiorata degli interessi, cioè il signoraggio, che costituisce la vera “alchimia” della banca, tanto per utilizzare, in maniera chiara e trasparente, la stessa espressione adottata dall’autore, ma in modalità surrettizia. E’ quella “alchimia” che, come precedentemente accennato, l’8 marzo del 1993 indusse il prof. Giacinto Auriti a denunciare la Banca d’ Italia per truffa, falso in bilancio, associazione per delinquere, usura ed istigazione al suicidio. Proprio con riferimento alla Banca d’Inghilterra l’ autore sostiene che: “...la Banca aveva creato denaro dal debito pubblico scambiando le promesse di pagamento dello Stato (i tally) con le proprie (banconote). “

Ma le banconote essendo emesse sostanzialmente senza riserva, e quindi trovando fondamento non nel valore di credito bensì in quello convenzionale, non erano promesse di pagamento, non erano titoli rappresentativi di debito della banca, ma crediti della banca nel momento in cui venivano prestate. Ieri come oggi. Altro che scambio di debiti: la banca presta e quindi è creditrice, e non debitrice; lo Stato rimborsa con le tasse imposte ai cittadini, e quindi è debitore. Altro che profitti reciproci: la banca incassa interessi; lo Stato paga interessi, sempre con le tasse imposte ai cittadini.

Altro che debito bancario per assicurare beni collettivi e per far prosperare i cittadini: lo Stato, se dotato di sovranità monetaria, può emettere autonomamente la moneta necessaria per assicurare beni collettivi, senza bisogno di ricorrere alla banca, senza impoverire i cittadini costretti a pagare tasse finalizzate al rimborso di debiti non dovuti. E potremmo continuare oltre scendendo in ulteriori dettagli. A questo punto la domanda sorge spontanea: ma perché in questo libro si son volute sostenere tesi che francamente ed eufemisticamente non esitiamo a definire fuorvianti?

La risposta ce la fornisce l’ autore stesso: “Vorrei iniziare con una confessione: sono un banchiere d’ affari…sono andato a Londra, da Goldman Sachs dove ho gestito attività...sono ora international advisor di Goldman....Moneta e promesse è, almeno in parte, un tentativo di dare un senso a queste esperienza, la mia Apologia pro vita sua”.

E questo spiega molto, se non tutto...


Nessun commento:

Posta un commento