di Michele Lamanna
La bocciatura della ratifica del Mes (Meccanismo Europeo di Stabilità) da parte della Camera dei Deputati del Parlamento italiano avvenuta lo scorso 21 dicembre ( 184 voti contrari, 72 a favore, 44 astenuti) va sicuramente accolta con favore. Almeno per il momento, il popolo italiano non sosterrà quello che, in realtà, più che un fondo salvastati ( come da sempre è stato chiamato il Mes, ma che non è mai stato), è un fondo salva banche, tedesche in particolare.
Tuttavia, questo risultato, ripetiamo certamente apprezzabile, non può far passare in sordina il fatto che appena qualche giorno prima i ministri dell’ economia dei Paesi UE hanno raggiunto una intesa sul “nuovo “ Patto di Stabilità che entrerà in vigore nella primavera del 2024. Nuovo per modo di dire, posto che i presupposti fondamentali dell’ accordo rimangono quelli di sempre, con i rapporti deficit/pil e debito/pil pari al 3% e 60% rispettivamente.
Le “novità” del nuovo accordo accolto dai citati ministri UE ( incluso l’ italiano Giorgetti) sono ancor più stringenti sul piano della riduzione della spesa pubblica e del “rigore” contabile. Per i Paesi come l’ Italia che hanno il rapporto debito/pil superiore al 90%, sono state previste due riduzioni: - una del disavanzo all’ 1,5% (meno del 3% fissato a Maastricht), con un aggiustamento annuo dello 0,4% in quattro anni, ovvero, dello 0,25% in sette anni, al netto degli interessi sul debito (con tolleranze dello 0,3% e 0,6% rispettivamente) in caso di investimenti e riforme ( solo quelle approvate dalla Commissione europea, ovviamente).
Ne dovrà conseguire un incremento dell’ avanzo primario ( saldo tra entrate e spesa pubblica al netto degli interessi), cioè dovranno essere previste nuove tasse e/o incrementi di quelle già esistenti; - l’ altra del debito pari all’ 1% per anno , che di dimezza allo 0,5% solo per i Paesi con rapporto debito/pil compreso tra il 60% e 90%, ( tra cui , guarda caso, la Germania). La formulazione originaria della Commissione contemplava la riduzione debito/pil solo alla fine del periodo di aggiustamento e non nel corso dello stesso. Peraltro, i nuovi investimenti, necessari alla crescita, e quindi all’ aumento dei denominatori dei succitati rapporti, verranno inclusi nel computo del debito ( numeratori dei medesimi rapporti), fatta eccezione per le spese afferenti la Difesa ( la guerra in Ucraina, aldilà di ogni altra considerazione, non crediamo abbia un riflesso rilevante né sul pil, né sull’occupazione ) ed il Pnrr, che, vale la pena ricordare, sono in buona parte finanziamenti che dovranno essere rimborsati ( col prelievo fiscale). L’unica vera flessibilità sarebbe rappresentata dal periodo transitorio 2025-2027 durante il quale, nel computo del deficit non dovrebbero essere presi in considerazione gli oneri finanziari (interessi) sul debito per gli investimenti. Insomma, sempre austerità, senza se e senza ma, grazie all’ euro ed i ai vincoli imposti dalla UE in spregio a qualsivoglia autonomia nazionale. Ancora una volta prevale la logica truffaldina della moneta-debito.
Eppure l’ attuale maggioranza di governo annovera al suo interno personaggi che in passato, prima di occupare gli scranni del Parlamento, hanno assunto posizioni inequivocabilmente sovraniste : autori di pubblicazioni come il “Segreto della moneta “ ( Francesco Fillini); “Il tramonto dell’ euro” e “l’ Italia può farcela” ( Alberto Bagnai); “Basta Euro, come uscire dall’ incubo” ( Claudio Borghi). Per quanto tempo ancora potrà essere accettabile la logica dei piccoli passi, ammesso che, nella migliore delle ipotesi, sia questa la strategia condivisa dai sovranisti di governo?
La politica dei piccoli passi è stata già sperimentata nel secolo scorso, dal regime del ventennio prima e dalla prima repubblica nel cinquantennio dopo. Sappiamo bene come è finita. Gli strozzini vanno affrontati a viso aperto dai governi dei popoli oppressi.
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